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Macerata, Sferisterio tricolore per il 160° dell’Unità d’Italia

Macerata, Sferisterio tricolore per il 160° dell’Unità d’Italia
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Oggi, 17 marzo, in occasione della “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera”, il Comune di Macerata illumina lo Sferisterio con il tricolore.

La ricorrenza è stata istituita come festività civile il 23 novembre del 2012 con l’obiettivo di ricordare e promuovere i valori di cittadinanza e riaffermare e consolidare l’identità nazionale attraverso la memoria civica.

A causa della pandemia, in un momento di grande incertezza, l’anniversario per i 160 anni dell’Unità d’Italia viene celebrato dal Comune di Macerata attraverso un atto simbolico che vuole essere occasione di riflessione e contemporaneamente un richiamo all’unità per superare questo difficile periodo tutti insieme, all’insegna della condivisione delle idee e degli obiettivi.

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Il tricolore su Palazzo Carignano a Torino, prima sede del Parlamento italiano, oggi Museo Nazionale del Risorgimento. Nella foto in alto lo Sferisterio di Macerata

Il 17 marzo ricorre l’anniversario dell’Unità d’Italia, dal giorno della proclamazione del Regno d’Italia sono trascorsi esattamente 160 anni.

Dieci anni fa, nel fiorire di celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario, Liberilibri ha dato alle stampe il saggio dello storico Marco Severini intitolato Piccolo, profondo Risorgimento.

Un libro che parla sì anche di Giuseppe Mazzini e della sua etica del dovere, ma che soprattutto raccoglie diverse storie considerate “minori”, che poi minori non sono, perché capaci di stimolare la conoscenza del passato tanto quanto i grandi avvenimenti tramandati dalla Storia con la esse maiuscola.

L’obiettivo dell’autore, professore di Storia dell’Italia contemporanea all’Università di Macerata, era essenzialmente quello di raccontare vicende risorgimentali poco conosciute o addirittura inedite, quelle cioè che non trovano solitamente spazio nei libri di storia, ma che hanno comunque lasciato una traccia profonda nelle comunità che le hanno prodotte e vissute.

Vicende cadute nell’oblio legate a figure, politiche e non, di assoluto rilievo, da Antonio Bellati ad Andrea Ferrari, da Lorenzo Valerio al maestro Lorenzo Bettini, comprese donne straordinarie come Cristina Trivulzio di Belgiojoso e Faustina Bracci, che nelle pagine di Severini trovano un doveroso risarcimento.

Questo libro inoltre non è dedicato soltanto alle vite di personaggi più o meno noti del Risorgimento che hanno contribuito a “fare l’Italia”, ma anche alla memoria di luoghi particolari, come Civitella del Tronto in Abruzzo, l’ultimo avamposto borbonico ad arrendersi agli italiani, mentre un paio di capitoli finali sono riservati alle questioni più prettamente storiografiche, in cui l’autore ripercorre l’intero tracciato degli studi risorgimentisti in Italia.

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La proclamazione del Regno d’Italia

Nell’articolo unico della legge 17 marzo 1861, n. 4671, si trova disposto: «Vittorio Emanuele II, per grazia di Dio, Re di Sardegna, di Cipro di Gerusalemme, Duca di Savoia, di Genova, ecc. ecc. ecc., Principe di Piemonte, ecc. ecc. assume per sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia».

Pertanto, possiamo considerare quella norma come l’atto di nascita dell’Italia. Infatti, dopo l’approvazione del progetto di legge da parte del Senato del Regno di Sardegna avvenuta il 26 febbraio 1861 e quella successiva da parte della Camera dei deputati il 14 marzo 1861, veniva finalmente proclamata la nascita di una Nazione, come oggi la conosciamo, pur allora ancora incompiuta.

Prima di suggellare tale evento, l’11 marzo 1861 Cavour aveva presentato, in qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, il testo già licenziato dal Senato, ricordando che «il Parlamento, nel giorno solenne della seduta reale, coll’entusiasmo della riconoscenza e dell’affetto, acclamava Vittorio Emanuele II Re d’Italia». E, di rimando, nella pagina di verbalizzazione dell’adunanza parlamentare, poi pubblicata nella Gazzetta ufficiale del Regno, si trova vergato: «Chi approva questo articolo, sorga. (Approvato). Applausi generali, ripetuti, e prolungati».

Finalmente il sogno di tanti patrioti diveniva realtà e l’Italia poteva elidere quell’odiosa endiadi di espressione geografica, affibbiatale – a torto o a ragione, falso storico o meno – da Metternich.

Tuttavia il Paese era ancora diviso e, al centro e in tutto il nord orientale, in larga parte in mano alle dominazioni straniere. Lo aveva ricordato qualche giorno prima lo stesso Vittorio Emanuele II nel discorso di apertura della seduta solenne, affermando che l’Italia del 1861 era: «Libera e unita quasi tutta».

(da www.filodiritto.com)

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