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Macerata, progetto per una città amica delle persone affette da demenza

Macerata, progetto per una città amica delle persone affette da demenza
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Macerata città amica delle persone con demenza per intervenire in profondità sulle dinamiche di una collettività, per renderla capace di accogliere con generosità e intelligente apertura e di farsi carico delle difficoltà di chi è coinvolto in questa patologia.

L’iniziativa è stata presentata anticipando la giornata celebrativa dell’Alzheimer, il 21 settembre, istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Alzheimer’s Disease International (ADI),  nel corso di una conferenza stampa alla presenza del sindaco Romano Carancini, dell’assessore alle Politiche sociali, Marika Marcolini, Marco Trabucchi presidente dell’Associazione Italiana Psicogeriatria, Manuela Berardinelli presidente Alzheimer Uniti Italia onlus, Eugenio Pucci neurologia Asur Marche Area Vasta 3 Macerata, Michele Farina giornalista del Corriere della Sera, autore del libro “Quando andiamo a casa?”, e Susanna Cipollari neuropsicologa coordinatrice del Centro diurno “Tempo alle famiglie”.

“Un ringraziamento a Manuela Berardinelli – ha detto il sindaco Carancini –  perché ha voluto che Macerata fosse il punto di partenza di un progetto importante che vede la nostra città come un luogo dove sperimentare e costruire. E’ con senso di responsabilità e voglia di misurarci con questa sfida che abbiamo accolto la proposta. Pensiamo che sia un modo originale di farsi carico della malattia, dell’altro, insieme a una comunità, la testimonianza di una città che prova ad alzare il livello del proprio impegno”.

Si tratta di un modello di intervento sociale che ha già visto alcune realizzazioni in altri paesi europei, per ridurre le difficoltà e le crisi cui vanno incontro le persone affette da demenza e le loro famiglie.

Nelle Marche, come ha riferito il dottor Eugenio Pucci, le persone affette dalle varie forme di demenza sono 30.000, in Italia un milione e calcolando che ognuna di queste ha rapporti stretti con un altro milione di cittadini e, meno stretti ma fortemente coinvolgenti, con altri due milioni, si può affermare che la demenza rappresenta un problema vitale per oltre 4 milioni di italiani.

Lo scenario delle risposte dei servizi è caratterizzato da una situazione a pelle di leopardo; in alcune zone essi coprono completamente il bisogno, in altre sono gravemente deficitari. Il Piano Nazionale Demenze, varato nel 2015 dal Ministero della Salute in coordinamento con le Regioni, non è ancora arrivato a creare, come auspicato, una rete di servizi omogenea ed efficiente.

La risposta è quindi spesso affidata alla sola famiglia, come ha affermato Manuela Berardinelli, in alcuni casi affiancata dalle cosiddette “badanti”, tutte persone che devono affrontare in condizioni precarie l’impegno di un’assistenza che dura 24 ore al giorno e per lunghi anni. In questa situazione, la persona responsabile dell’assistenza va spesso in crisi, anche perché le difficoltà psicologiche e sociali hanno portato all’interno del nucleo familiare a una riduzione del numero delle persone disponibili per un servizio così gravoso.

“L’isolamento – ha detto la Berardinelli –   non è dato dalla malattia, ma da noi e sta proprio a noi dare alle persone affette da demenza la normalità della vita, che non deve essere concessa. Cuore e dottrina, un connubio di mentalità, devono essere, non senza fatica, gli strumenti per il cambiamento”.

Sulla base di queste ed altre motivazioni è nata l’idea di allargare a un’intera comunità la responsabilità di aiutare famiglie e ammalati per raggiungere una decente qualità della vita, attraverso il modello di una “città amica”.  

Per questo si agisce, in generale, sulle conoscenze dei cittadini, perché cancellino lo stigma che spesso circonda la vita degli ammalati, rendendosi conto che la demenza è una patologia come molte altre e su tutte le realtà che nella vita di ogni giorno entrano in contatto con malati e famigliari, perché le relazioni siano naturalmente caratterizzate da un atteggiamento di aiuto.

Per questo scopo il progetto mira a formare le varie realtà sociali attive in una comunità, da chi lavora nei negozi e nei bar, alle forze dell’ordine, ai sacerdoti, a chi ha responsabilità educativa nelle scuole, a chi gestisce le proprietà e il denaro, a chi lavora nei servizi socio-sanitari e così via.

Alla fine di un percorso che è necessariamente lento, perché non si modificano con facilità atteggiamenti e convincimenti di lunga durata, la “città amica” saprà leggere e comprendere il bisogno nelle strade e nelle case, diventare accogliente, combattere la solitudine, essere comprensiva di atteggiamenti che in altre circostanze potevano sembrare inaccettabili, offrire supporto nelle difficoltà, prevenendo crisi all’interno delle famiglie che talvolta portano alla rottura del sistema delle cure, con gravissimo danno per l’ammalato.

Il progetto che parte a Macerata andrà avanti per step, iniziando da un incontro pubblico aperto a tutta la cittadinanza seguito da quello con tutte le categorie a cui verrà proposto un questionario sulla conoscenza della malattia. Saranno poi le università marchigiane a controllare la correttezza degli interventi e a misurare i risultati ottenuti. Dopo di che si partirà con la formazione.

Infatti, anche se non sempre facile, la rilevazione dell’efficacia di un intervento è indispensabile perché il modello possa diffondersi, ma soprattutto perché chi è coinvolto, cittadino o operatore di ogni livello, possa rendersi conto che l’impegno non sempre facile a favore di chi è colpito dalla demenza e della sua famiglia ha indotto un significativo miglioramento della qualità della vita. 

AFAM Alzheimer Uniti Marche si è assunta la responsabilità gestionale del progetto, perché ritiene che sia compito istituzionale di un’associazione di famigliari la sperimentazione delle modalità per migliorare la qualità della vita delle persone colpite da demenza.

Il Comune di Macerata ha fatto proprio il modello di “città amica”, perché una comunità dove i forti sostengono i più deboli è un luogo dove tutti vivono meglio, in un’atmosfera di reciproca comprensione, e dove la solitudine di ogni cittadino può essere compresa e messa al centro di un’attenzione diffusa.

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